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Prendendo le mosse dal periodo che l'autore ha passato tra la Svizzera e la Francia in qualità di dottorando e lavoratore polivalente presso un fast food, "Archivio privato" è la narrazione mutilata di un'esperienza di alienazione concreta, storica, materiale e dunque esistenziale; come tale è narrazione coerentemente alienata di un atto mancato: l'inserimento dell'individuo nel processo produttivo, la sua partecipazione attiva al sistema, il suo riconoscimento all'interno di una nuova comunità. Ovvero il tentativo di corrispondere ai parametri operativi del mercato, al costo di partire assecondando la narrazione dominante che fa della precarietà una virtù, per l'esigenza di rendersi materialmente indipendente mediante il lavoro. Il titolo "Archivio privato" ha dunque una doppia accezione. Da una parte è una raccolta di relazioni dialettiche tra l'io e l'altro che permangono come eventi non riconducibili a un senso unitario, a un progetto comune coscientemente condiviso; dall'altra s'intende l'aggettivo "privato" in senso, appunto, privativo: l'inventario delle situazioni "privative" nella storia del soggetto e, come visibili al negativo, delle cose di cui il soggetto rimane privato nel suo tentativo di restare in piedi.